Nonostante tutto, nulla cambia

Vedendo l'aumento dei prodotti vegan nei supermercati, l'aumento delle attività vegan, l'aumento delle iniziative vegan, l'aumento statistico della popolazione vegan (1% della popolazione), l'aumento della sensibilità nei confronti dell'argomento da parte di mass e social media si potrebbe pensare che davvero qualcosa si sta muovendo, che davvero qualcosa stia cambiando.
Noi stessi spesso ci alletiamo riguardando l'ex allevamento vuoto, anche se poi la realtà ogni giorno ci travolge con tranvate sui denti che ti portano davvero a chiedere: ma tutti sti vegani, dove sono?
Ci sono, ci sono!
C'è chi lo è per etica, chi lo è per salute, chi per entrambe le motivazioni.
C'è chi è vegano, chi è antispecista...

C'è quindi chi appoggia la maggior diffusione di prodotti ed attività vegan come se fossero la dimostrazione di un cambiamento di rotta del mercato, chi invece si rende conto di come comunque siamo una minoranza e che quindi c'è poco da esultare ma invece c'è molto ancora da fare.
Sarebbe bello poter essere vegani e felici e avere la conferma quotidiana che il nostro imput funziona, che la massa si sta "convertendo", ma il più delle volte si è felici perchè la grande distribuzione, le multinazionali, lo stato stesso ci concede delle aperture.
Piccoli "contentini" che ci fanno sperare in ulteriori aperture fino ad arrivare ad una presa di coscenza globale.
Sarebbe bello... e lo è se leggiamo e diffondiamo le notizie scritte da noi stessi nelle quali esultiamo per questo o quel risultato.
Poi però qualcuno esce dal clichè del social vegano, del blog vegano, della festa vegana, della cerchia vegana e sbatte la faccia violentemente contro la realtà dei fatti ossia: l'andamento reale del mercato secondo le associazioni di categoria, l'Istat, il ministero ecc.
Purtroppo noi siamo sadici e ci vogliamo male quindi spesso ci facciamo un giretto nei "loro" siti oppure ci relazioniamo (per forza) con chi ha a che fare con questo "mercato" e che ci illumina.
Vi vogliamo riportare due notizie dal sito di UNAITALIA, ossia Unione Nazionale Filiere Agroalimentari delle Carni e delle Uova (che include solamente i produttori avicoli, per la filiera di carni suine c'è ASSICA, mentre per la filiera bovina c'è ASSOCARNI - non è nostra intenzioni fargli avere click inutili quindi non ve le linkiamo, nè "pubblicità", vogliamo però spronarvi a fare un giretto in questi siti ogni tanto in modo da incazzarvi un pochino e magari ritrovare un pò di sprint...)
La prima riguarda il report dei consumi di carne avicola in Italia nel 2015, la seconda riguarda uno studio sui broiler per giustificare un ritorno all'allevamento in gabbia.
E che tutto questo è un "passo indietro" sono loro per primi ad ammetterlo.
Siate felici per le piccole cose, gioite per le singole vittorie ma per favore, almeno una volta al giorno incazzatevi e ricordatevi che la lotta è ancora lunga e il sistema non vuole gente incazzata, perchè la gente arrabbiata si ribella mentre la gente felice si accontenta.
Quindi vi chiediamo, a nome di tutte le belve che ogni giorno nascono solamente per morire, non accontentatevi, incazzatevi!
Buona lettura!


"Nel 2015 prosegue il trend in aumento per i consumi e la produzione di carne avicola.
Nel 2015 la produzione di carni avicole in Italia è stata pari a 1.307.000 tonnellate, un importante aumento rispetto al 2014 (+3,6%).

Per il pollo la produzione aumenta del 4,8% (915.000 tonn.), l’incremento più modesto che si registra per le carni avicole totali è dato dalla stazionarietà della produzione di carne delle altre specie avicole, con l’eccezione della carne di tacchino che ha, seppur lievemente, incrementato la produzione +0,8% (313.000 tonn.).

I numeri relativi ai consumi riflettono quelli della produzione e indicano nel complesso un aumento (+3,6%).
Entrando nel dettaglio delle varie tipologie di carni avicole, il consumo di carne di pollo ha registrato un notevole incremento pari al 4,9%, lievissimo l’aumento, rispetto al 2014, dei consumi di carne di tacchino (+0,4%), consumi che risultano ancora con segno negativo se raffrontati ai consumi 2013 (-2,7%), stazionarietà per i consumi delle altre carni avicole.

In termini pro-capite gli italiani, consumano 14,63 Kg di carne di pollo e 4,29 Kg di carne di tacchino (elaborazione Unaitalia su dati Istat).
Nel complesso il consumo pro-capite di carne di pollame 2014 è risultato pari a 20,21 kg (+3,9%) considerando anche il consumo di carne di gallina e altre specie avicole.

Il settore avicolo italiano, anche nel 2015, continua a mantenere elevato il livello di autoapprovvigionamento: in Italia infatti viene prodotto il 102,9% delle carni di pollo consumate nel nostro paese, e addirittura il 119,9% delle carni di tacchino, a conferma di un settore completamente autosufficiente, a garanzia della provenienza e della qualità del prodotto che viene portato a tavola.

Nonostante un calo dei prezzi sui mercati alla produzione per i broiler di circa il 7% rispetto al 2014, grazie anche al prezzo delle materie prime cerealicole che hanno mantenuto il trend cedente iniziato nel secondo semestre 2013 e sta continuando anche nei primi mesi del 2016, le aziende hanno potuto ottenere una, seppur modesta, marginalità.

Anche il settore uova ha saputo dare nuovo impulso alla produzione.
Infatti le uova da consumo prodotte nel 2015 sono state 12 miliardi e 816 milioni (+2,2 %).
Per soddisfare la richiesta interna è stato comunque necessario ricorrere alle importazioni, che però sono diminuite di circa il 3% rispetto al 2014 (dati Istat).
Considerando il saldo tra import ed export, sul territorio italiano sono rimasti 694 milioni di uova importate, vale a dire il 47,7% in meno rispetto al 2014.

Per il 2016 si ipotizza un aumento della produzione totale della carne di pollo, mentre si prevede una sostanziale stazionarietà per la produzione di carne di tacchino e per le altre specie avicole.
Per quanto riguarda le uova si ipotizza un incremento della produzione.

Il contributo del settore avicolo alla formazione del PLV è risultato pari a 4.200 milioni di euro, cioè il 9,7% dell’intero comparto zootecnico."
Annata Avicola 2015, Unaitalia

Notizia del 16-11-2016, Unaitalia
Un “passo indietro” verso le gabbie?

Una scuola agricola europea sta studiando un nuovo tipo di alloggiamento dei broiler che prevede un sistema di gabbie multi piano. 
Si tratterebbe di una mossa in controtendenza, dato che ormai molti allevatori stanno adottando anche sistemi di allevamento di galline fuori gabbia.
Ma nel futuro i produttori statunitensi ed europei potrebbero almeno considerare di tornare ad un allevamento di polli in gabbia?

Terrence O’Keefe, redattore e direttore dei contenuti di WATT Global Media, in occasione di EuroTier. quasi per caso, ha avuto l’opportunità di visitare anche una unità sperimentale di questo nuovo sistema di allevamento destinato ai broiler.

Gli animali erano accasati da 13 giorni e sarebbero stati commercializzati a 35 giorni di età.
Questi broiler erano stati allevati senza l’uso di farmaci e avevano fatto registrare tassi di conversione e di alimentazione nettamente migliori rispetto alla media dei broiler allevati a terra.

Con questo sistema, tra le altre cose, è possibile separare i broiler dai loro escrementi, migliorando così la salute degli uccelli, il tasso di conversione dei mangimi, la qualità dell’aria e eliminamdo la necessità della lettiera.
Un sistema di alloggiamento in gabbia ben progettato può anche permettere l’automatizzazione integrata del passaggio dell’animale dal sistema di allevamento alle cassette di trasporto.

Le galline ovaiole possono essere allevate fuori dalle gabbie, perché possono restare operative per oltre un anno e le ovaiole fuori dalle gabbie, se ben gestite, hanno prestazioni molto simili a quelle allevate in gabbia.
Il costo reale la produzione di uova fuori gabbia è relativo all’aumento del costo dell’alloggio per ogni gallina, ma non è legato ad una riduzione delle prestazioni.

Mentre dai dati a disposizione sembrerebbe che i broiler allevati a terra siano meno efficienti rispetto a quelli allevati in gabbia, e richiedono una metratura del capannone decisamente più ampia.
Il pensiero corrente è che difficilmente i consumatori accetteranno l’uso di gabbie per l’allevamento dei polli da carne: ma se l’uccello è nella gabbia per solo cinque settimane? O che dire di sistemi che potrebbero ospitare uccelli in gabbia per le prime due o tre settimane e poi prevedono l’allevamento a terra?

O’Keefe non ha trovato nulla da obiettare al sistema di multi-piano che ha visitato, dato che sembra garantire la produzione di uccelli più sani, più produttivi e con meno uso di medicinali.

Fonte WattAgNet

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