Via libera alle merci via mare, ma nessun via libera alle persone.

In teoria siamo nell'era della globalizzazione, del libero mercato, delle frontiere comunitarie aperte.
Il web unisce a velocità supersonica i miliardi di individui che popolano questo pianeta facendoli sentire parte di un unico mondo, annullando le distanze tra i continenti.
Dal punto di vista commerciale, questa vicinanza è tangibile e si punta a renderla ancora più concreta.
Dal punto di vista individuale, delle persone fisiche, reali, viventi invece sembra che la rotta sia nettamente in controtendenza.


Dal punto di vista commerciale, è spuntato questo nuovo trattato: International Transport Forum, un comitato di eccellenza composto da circa 25 aziende del calibro di Google, IMB, Esso, Cosco (compagnia marittima), CCC (China Construction Company), SNCF (Francia), Volvo, Nissan, Michelin e altri partner attivi nel settore dei trasporti, dell’energia e della finanza con chiare prospettive di crescita e con l’obiettivo di dare corpo alla strategia del Cop21 di riduzione delle emissioni realizzando sistemi di trasporto efficienti che apre di fatto nuove rotte commerciali potenziandone la portata.
Viene infatti aumentata la portata (letteralmente) delle navi cargo ossia vengono resi obbligatori parametri di trasporto, dimensioni delle navi e numero di container trasportati, enormi che mettono a rischio le attività commerciali portuali di alcuni paesi che non posseggono porti commerciali con requisiti adatti all'accogliere navi di tale portata.

La soluzione arriva dalla città del Mose (e già questo fa scendere un brivido lungo la schiena) ed è il "fantastico" progetto del nuovo porto offshore di Venezia, la quale è membro proprio del corporate board dell'ITF, già bocciato a marzo 2016, ripreso, approvato a settembre 2016 e pure finanziato il 3 febbrario 2017.

Il progetto in questione si presenta così:
Il terminal Offshore di Venezia è un progetto in grado di trasformare un obbligo di legge in una leva per la crescita e un limite fisico in un’opportunità, infatti:

la Legge per la Salvaguardia di Venezia (l. 798/84) impone di estromettere le petroliere dalla laguna
il porto di Venezia ha un limite di accessibilità nautica dettato dall’entrata in funzione del sistema MoSE realizzato per proteggere la città dalle acque alte.
Il progetto Offshore supera l’obbligo di legge e il limite di accessibilità associando alla costruzione in altura di un terminal petrolifero, la costruzione di un terminal container.

UN’OCCASIONE DA COGLIERE
Con fondali a 12 metri il porto di Venezia oggi può ospitare navi fino ad un massimo di 7000 TEU; una capacità ricettiva non più sufficiente a rimanere competitivi nel mercato dello shipping globale che conta su navi fino a 18.000 TEU, già in esercizio, alle quali si affiancheranno presto navi da 22.000 TEU, in costruzione. Una prospettiva che non mette fuori mercato solo Venezia, ma pressoché tutta la portualità italiana, se valutata sui tre parametri dell’accessibilità nautica, degli spazi operativi in porto e delle infrastrutture di collegamento con i mercati retro portuali da servire. Sono questi i tre parametri che fanno di un porto moderno il nodo efficiente di catene logistiche globali.

Il progetto Offshore sarà una “macchina portuale” fortemente innovativa, in grado – anche in virtù della sua connessione con più basi portuali – di soddisfare i requisiti di mercato di accessibilità nautica e spazi operativi portuali. Per questo è un’opera strategica per la crescita di Venezia, dell’Italia e dell’Europa.

DOVE
Posizionata a 8 miglia al largo dalla costa dove i fondali hanno una profondità naturale di almeno 20 metri, la piattaforma Offshore si compone di una diga foranea lunga 4.2 chilometri al cui interno troveranno spazio un terminal petrolifero e un terminal container in grado di ospitare contemporaneamente tre navi portacontainer di ultima generazione. Lungo la banchina che ha uno sviluppo modulare (una lunghezza di 1 chilometro nella prima fase, aumentabile fino a 2 chilometri in una seconda fase) troveranno posto gru appositamente progettate e un sistema ad alta automazione capace di garantire performance di imbarco/sbarco pari a quelle dei migliori terminal mondiali.
Per saperne di più e visionare i progetti trovate tutto QUI .

Il tutto in posizione strategica per raggiungere e rivalorizzare altri porti logistici e commerciali:
Il progetto prevede la connessione in perfetta sinergia con 4 terminal di terra: Montesyndial (Marghera), Chioggia, Mantova e Porto Levante. Il trasferimento dei container dalle navi oceaniche a terra sarà organizzato con speciali navi autoaffondanti – denominate “Mama Vessel” – appositamente studiate per Venezia che sfruttano la tecnologia ad aria compressa dei sommergibili della Royal Navy e il principio di Archimede per dimezzare i tempi di percorrenza tra la piattaforma offshore e i terminal onshore.

Però, se l'intento è quello di potenziare la capacità di merci in entrata ed uscita dal paese, come la mettiamo con i trasporti interni?
Nel nostro paese circa l'80% dei trasporti avviene su gomma e l'aumento della portata di merci trasportate porterebbe non solo ad un incremento di traffico sulle strade, ma anche all'aumento dell'inquinamento da polveri sottili. E poi sul serio... sarebbe un delirio!
La soluzione sembra essere quella del trasporto utilizzando le vie fluviali e infatti, già tre "gole" del Po sono state sistemate per consentire la navigazione di navi merci fino proprio a Mantova.
Nell'articolo che abbiamo trovato sembra che sia ancora un pò complicato, ma siamo sicuri che nel piano del porto offshore è sicuramente prevista una soluzione (le stesse Mama Vessel?) anche per questo.

Vedendo i finanziatori (Cina), vedendo una delle mete (Mantova), sapendo che per la Wellard lavorano armatori italiani e che la Wellard stessa ha ampliato il suo "giro" alla Cina... sinceramente non prevediamo cose belle....
Faranno entrare anche in Italia le famigerate lifestock carrier delle quali vi avevamo già parlato in questo articolo?
Sarà un modo per mantenere il numero di capi macellati riducendo quelli allevati nel territorio nazionale, portando di fatto allevamenti più sostenibili, carne più "sana", a fascia di prezzo più alta e dalla filiera più slow?
Tra l'altro, piccolo dettaglio... nel nuovissimo trattato è inserita una Dichiarazione sul trasporto del bestiamo vivo risalente al 1996 ( e ancora parliamo dell'innovazione che apporterebbero le nuove norme sul benessere animale?)
Comunque questo è un nostro pensiero, uno dei nostri "complottismi" che non è detto si avveri...
Limitiamoci per ora ad analizzare i fatti.
Molto probabilmente questo porto si farà visto che sono già stati stanziati fondi ai cinesi per la progettazione.
Sarà divertente vedere a chi verrà assegnata l'opera di costruzione visto che quasi tutte le imprese adatte, ossia quelle che hanno lavorato (benissimo tra l'altro) al Mose, sono state commissariate, fallite o ne sono stati arrestati i dirigenti (anche su questo qualche idea l'abbiamo ma ce la teniamo per noi... vi basti sapere che temiamo che l'appalto alla fin fine lo prenda la stessa ditta che ha costruito i mega macelli per Inalca in giro per il mondo... visto che bazzica per la città lagunare).
L'unica cosa sicura è la mole di carburanti, emissioni, condizioni lavorative precarie, speculazione, introiti, interessi, accordi, futuri imballaggi vuoti che alimenteranno le discariche e gli inceneritori, ecosistemi messi a rischio, mercificazione che aumenterà a discapito di ogni abitante di questo pianeta.
Ancora più assurda se si pensa che se da un lato viene fatto di tutto e spesi capitali enormi per "unire i paesi" commercialmente parlando, dall'altro vengono investiti soldi su forze di polizia e repressione della libertà di movimento di ogni persona libera...
Parliamo del nuovo accordo Italia-Libia sull'immigrazione siglato quasi in contemporanea all'appalto del porto offshore.

Via libera alle merci via mare, ma nessun via libera alle persone.

L'Internazionale il 10 dicembre lo presentava così:
Il punto centrale dell’accordo attuale con i libici è il sostegno italiano alle autorità locali per pattugliare e chiudere il confine meridionale del paese, quello che lo separa dal Niger, principale punto di accesso in Libia per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana.

Per sostenere questo progetto l’Italia potrebbe fornire a Tripoli un sistema di radar, già previsto nell’accordo del 2012. Tuttavia l’attuazione del piano presenta diverse difficoltà, perché il governo di Al Serraj non è in grado di garantire un controllo del territorio così esteso e capillare al di fuori della capitale.

Intanto si è conclusa la prima fase dell’Operazione Sophia, la missione di EunavforMed contro il traffico di esseri umani che prevedeva l’addestramento di 78 ufficiali e sottufficiali della guardia costiera libica a bordo della nave della marina militare italiana Garibaldi.

Gli obiettivi principali del governo italiano nel prossimo futuro sembrano essere due: un impegno militare da parte delle forze armate europee nelle acque internazionali davanti alla Libia e un loro futuro sconfinamento nelle acque libiche (che per il momento è escluso da Al Serraj) e il coinvolgimento delle forze di polizia libiche nel pattugliamento della costa.

In cambio, Roma garantirebbe investimenti e aiuti anche attraverso la donazione di mezzi come i pattugliatori, che dovrebbero essere consegnati già nelle prossime settimane.

Dopo un mese, l'accordo è firmato e le prime 1.300 persone circa, sono state intercettate e rispedite indietro.
Evviva, l'accordo funziona!
E noi restiamo qua con la bocca spalancata chiedendoci se non fosse proprio per questo che proprio a Venezia un ragazzo è annegato, buttatosi in acqua forse con l'intento di morire o forse no... non lo sapremo mai perchè nella prima domenica di Carnevale una persona in Canal Grande sembra una scenetta, un'installazione della Biennale, una forma di intrattenimento... forse i turisti con il cellulare filmavano sperando di vedere che ne so, Arlecchino piombare dalla cupola di San Simeon Piccolo per soccorrere il malcapitato ed augurare a tutti una piacevole permanenza nella città dove tutto ormai sembra finto.

Ma anche nella città-museo si muore, per davvero.
Lo sanno i senza tetto congelati in inverno, lo sanno gli operai morti nei cantieri, lo sanno i piccioni che campano tra mais anticoncezionale e spunzoni di ferro, lo sanno i ratti che muoiono per il veleno e nemmeno con la dignità di finire come pasto per un gatto, perchè a Venezia dicono non ci son più gatti (son tutti in casa sterilizzati e a croccantini... nell'unica città dove non esiste il problema dell'essere investito da un'auto), lo sanno i migranti che per vendetta vendono mais buono per i piccioni ai turisti spillandogli dei bei soldini (tanto anche quello "autorizzato" costa tanto quindi...), lo sa ogni singolo abitante di Venezia che a Venezia si può morire anche se la maggior parte se ne va perchè la città stessa sta morendo, trasformata in un enorme disneyland e in un enorme outlet.

Vi lasciamo con un altro articolo dell'Internazionale, perchè questa storia della Libia ci riporta tremendamente con la memoria a quello che successe decenni fa e che crediamo sempre non possa accadere mai più fintanto che celebreremo la giornata della memoria.
Un articolo su Faccetta nera, sulla colonizzazione dell'Eritrea fatta passare come una "liberazione" riflettendo lo stesso modus operandi: addestrare e militarizzare un popolo per aiutare a farne soccombere molti molti di più compreso quel popolo stesso.... stiamo attenti ai nuovi schiavismi mascherati da progetti umanitari e comunitari.
Anche il fascismo è iniziato così e, sinceramente, tutto questo lo vediamo come un preludio ad un nuovo fascismo.

Il colonialismo italiano non nasce con il fascismo, ma con l’Italia liberale postunitaria, tuttavia negli anni trenta del secolo scorso si assiste a un’accelerazione del progetto di conquista. Mussolini vuole l’Africa, il suo posto al sole, e per ottenerlo deve conquistare gli italiani alla causa dell’impero. Dai giornali satirici come Il travaso delle idee al Corriere della sera sono tutti mobilitati. Uno degli argomenti preferiti dalla propaganda era la schiavitù. I giornali erano pieni di immagini di donne e uomini etiopi schiavi: “È il loro governo a ridurli così”, spiegavano, “è il perfido negus, andiamo a liberarli”.

La guerra non viene quasi mai presentata agli italiani come una guerra di conquista, ma come una di liberazione. Il meccanismo non è molto diverso da quello a cui abbiamo assistito nel novecento e a cui assistiamo ancora oggi. Andiamo a liberare i vietnamiti! Andiamo a liberare gli iracheni! Andiamo a liberare gli afgani! Per poi in realtà, lo sappiamo bene, sfruttare le loro terre.

Ora e sempre: LIBERIAMOCI!

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